
di ALCEO LUCIDI
SAN BENEDETTO – Il Festival Ferré 2017 non si farà. Non un atto di denuncia, ben intensi, ma una constatazione, detta fra i denti, amara come il distacco da tutte le cose belle che si perdono, seppure per un tratto della propria vita.
Sì perché crediamo, e speriamo, – non lo diciamo a nostro nome ma in nome di tutta una comunità – che si tratti solo di un “arrivederci”, una inattesa parentesi, una battuta d’arresto, improvvisa come i colpi del destino, per riprendere il cammino con più slancio.
Sulla scorta dell’intervista apparsa su “Riviera oggi”, la settimana scorsa, al direttore artistico ed ispiratore del Festival, il prof. Gennari, qui vorremmo, senza acrimonie e prese di posizione preconcette, fare il punto – seppur brevemente – sullo “stato dell’arte”, sulle vette raggiunte da una manifestazione, che, tormentata da sempre dalla carenza di mezzi finanziari, relegata nella provincia italiana e al di fuori dei circuiti di attrazione dei grandi centri culturali, è andata col tempo accrescendosi. Insomma, chiederci come sia stato possibile tenere assieme questo straordinario mosaico di emozioni, progetti, idee lungimiranti.
Diremmo che l’intatta passione, il genuino entusiasmo, l’intelligenza delle relazioni, l’amicizia oltre ogni steccato, oltre ogni appartenenza ideologica, hanno fatto da collante ad una manifestazione che ha trovato in Giuseppe “Pino” Gennari – sin dall’inizio, con la formazione, assieme allo stesso Léo Ferré, del “Coro de l’Ile de France” prima e con il Memorial del 1994, subito dopo la morte del monegasco, poi – il suo interprete visionario.
Sul palco del teatro “Concordia” – e prima ancora dello storico “Calabresi” – si sono intrecciate, ininterrottamente per 22 anni, poesia e musica, oltre ai cammini di artisti, diversissimi, di livello internazionale, in una “folle farandola”, come richiamato nella canzone La folla, portata al successo magistralmente da Edith Piaf.
Tra i ricordi che si accalcano e si rapprendono veloci vedo sfilare in un’ideale galleria dell’anima: la graffiante Cathérine Boulanger del 1995 (segnata dall’incontro con il cantautorato di Ferré, “un vero pugno nello stomaco”), l’elegante uomo in bianco George Moustaki, il poeta “ribelle” delle delicate melodie mediterranee, il formidabile Paco Ibanez del 1999, il canto di rivendicazione nella voce baritonale di Jean Ferrat nel 2001, l’irruzione del jazz con la formidabile tromba “europea” di Paolo Fresu e le atmosfere struggenti e liriche, straniate, francesi del compianto Gian Maria Testa nel 2002. Continuando, riaffiorano i volti indelebili di Jane Birkin e Gino Paoli nel 2003 (grande amico di Ferré, assieme agli altri della schiera “genovese”), Massimo Bubola e Francesco Guccini nel 2004, l’incantevole Dee Dee Brigdewater nel 2005 (erede delle immense cantanti jazz nere americane da Billie Holiday ad Aretha Franklin), Julette Gréco e Gérard Jouannest (l’arrangiatore di Jacques Brel) nel 2007, per arrivare alle più recenti scoperte: la Victoria Abril del 2008 (musa del regista spagnolo Pedro Almodovar, con il suo repertorio di francesi “flamencati” in anteprima mondiale, che Giuseppe riuscì a conquistare al telefono con Mes hommes di Barbara), le nobilitanti trasposizioni spagnole di Ferré di Amancio Prada nel 2010, la dirompente carica scenica di Annik Cisaruk del 2012, il teatro canzone di Michel Hermon del 2014, il memorabile virtuosismo del delizioso Benjamin Clementine nel 2015 e, buon ultima, la celebrazione del centenario ferreiano lo scorso anno con il ritorno di Christian Courvoisier (che Pino volle a tutti i costi celebrare, il 24 agosto, nonostante la terribile scossa di Amatrice, solo una notte prima, come reazione alla rassegnazione).
Impossibile anche enumerare, in questo breve spazio, la lista dei giovani artisti valorizzati dal Festival, in collaborazione con il premio Tenco di San Remo ed il suo avveduto e colto direttore artistico Enrico De Angelis (molto più che un habitué del Ferré, piuttosto un suo incrollabile assertore, assieme ad altri come Mauro Macario, Paolo De Bernardin, Maurizio Silvestri, Paolo Cristalli, Enrico Médail, il carissimo Piergiorgio Gennari).
Insomma, gente che si è spesa per un’idea di cultura senza calcoli e convenienze, in assoluta gratuità, per amore della musica d’autore e perché anche il nostro territorio piceno potesse contare su un evento di spessore, capace di sfidare il tempo, contro i tanti, più o meno effimeri, che ci vengono sbrigativamente propinati.
L’augurio è che in futuro il Festival venga percepito come una fonte di arricchimento culturale, non come un avvenimento di parte, da tirare da una parte e dall’altra a fini personali o propagandistici. Lo stesso Léo Ferré ci ha dimostrato che la libertà e l’integrità intellettuali sono fondamentali nella costruzione della formazione di un artista e, direi, in quella civile di cittadini consapevoli. Se sapremo sentire il Festival col cuore – dice ancora Gennari – prima ancora che col portafogli, la magia potrà ancora continuare.