Lettere al Direttore / Partito Dmeocratico, un problema complesso di leadership e di followership

SAN BENEDETTO

di Tonino Armata

Egregio direttore, Enrico Letta è stato eletto segretario del Partito democratico, con 860 voti favorevoli, 2 contrari e 4 astenuti. Il voto in streaming è arrivato dopo il suo discorso centrato su un nuovo Pd, motore del governo Draghi, aperto alle alleanze e leader di un nuovo centrosinistra.

Il nuovo segretario del «mettere insieme l’anima e il cacciavite», del «non vi serve un nuovo segretario, vi serve un nuovo Pd» del «noi non dobbiamo essere quelli della Protezione civile, se siamo costretti ad andare al governo diventiamo il partito del potere e se siamo il partito del potere, moriamo».

Tra le priorità ius soli, donne, lavoro, norme per impedire la proliferazione in Parlamento di gruppi senza alcuna corrispondenza con i partiti presenti sulla scheda, sfiducia costruttiva e piena attuazione dell’articolo 49 della Costituzione (democrazia interna nei partiti), dell’innovazione e della “cittadinanza digitale”, della straordinaria occasione d’investimento rappresentata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ma anche con riferimento al tema della nuova regolazione europea, ridare un senso alla storia di un Pd ridotto a partito del potere, prigioniero di un modello «che non funziona», basato sulle correnti e sostanzialmente privo di strumenti per capire la realtà (di qui le idee di una «Università democratica» e di «Agorà democratiche» aperte agli esterni).

Con tranquillità Letta vuole radicalmente cambiare pagina, e vincere “pulito”, nelle urne e non con i giochetti trasformistici annegati nella palude del potere senza idee, voto ai 16enni per aprire la politica «Saremo progressisti nei valori, riformisti nel metodo, radicali nei comportamenti». Sì alla cittadinanza italiana ed europea di Zaky, lo studente egiziano rinchiuso nelle carceri egiziane.

No alle correnti e al partito del potere. Lotta alla pandemia, transizione all’economia verde, leggi per la parità di genere, partecipazione dei lavoratori agli utili d’azienda, lotta alla denatalità, riforma della legge elettorale per un nuovo bipolarismo, modello Mattarellum, riforma dei regolamenti parlamentari contro il trasformismo

“Un partito da rifare”. Letta lo ha detto: serve un nuovo Pd. Questo ha fallito perché è nato da una fusione fredda. Ds e Margherita hanno raccontato il passato come se Moro Berlinguer, o Dozza e Dossetti, fossero un ticket, mentre erano stati avversari per lungo tempo. Vuole un esame di storia per il Pd per dire che ciò che unisce non è il passato, ma un programma per il futuro, che è ancora tutto da scrivere. Ecco perché vuole una campagna di ascolto nei circoli e nel Paese. L’Agorà sarà un’autentica fase costituente che potrà mettere in discussione anche la forma del partito.

Non solo questi. Mi ha colpito anche l’idea del “partito della scienza e della conoscenza” che richiama la nascita della sinistra quando, nel 1792, montagnardi e giacobini occuparono gli scranni di sinistra alla Convention Nationale. Un ritorno alla sinistra e al progressismo delle origini, delle pari opportunità per tutti. Questo oggi significa l’attenzione ai più vulnerabili, ai giovani, alle donne, a chi ha perso il lavoro. «Liste corte e circoscrizioni piccole. Poi adotterei il sistema finlandese». Ha detto Letta.

Il sistema finlandese è un sistema che prevede la preferenza obbligatoria ad almeno un candidato perché il voto alla lista sia valido. Un sistema che costringe l’elettore a scegliere e che quindi impone ai partiti, primarie o no, di presentare candidature di qualità. Ma ciò che conta di più di tutto è che gli elettori possano scegliere la coalizione che governerà. Senza la democrazia governante il Pd diventa il partito delle poltrone e perde l’anima.

Ora, dunque, giunge al Pd Enrico Letta. Un timoniere certamente intelligente e democratico, sincero nell’affermare di voler usare un linguaggio di “verità” in modo che si comprenda bene l’intenzione di cambiare rotta. Ma, ahimè, quanto gravoso, frustrante e difficilissimo si dimostrerà il suo lavoro!

Letta dirigeva in Francia una scuola di formazione alla politica e quindi ci auguriamo che sia pienamente consapevole delle enormi difficoltà a cui andrà incontro, ma, tutto ciò, a patto che egli sia consapevole delle complesse problematiche psicologiche, che al di là di altri diversi fattori, regolano alla base il campo del “gruppo” e del rapporto leadership-gruppo, ossia leadership-followership.

Il Pd versa in una condizione di grave declino, cioè a dire in una costante e cronica rinuncia a darsi una linea progettuale politica ben definita, necessaria veramente, e non in senso retorico, per “essere da parte delle persone”, piuttosto che privilegiare, attraverso, ad esempio, il gioco estremizzato, e quindi perverso, delle “correnti”, accordi narcisistici, interni di potere.

Esprimiamo molti auguri a Enrico Letta per il suo prossimo lavoro, ma anche augurandoci che egli possa tenere nella massima considerazione, lungo questo lavoro, tutta una serie di complesse vicende emozionali, irrazionali, solitamente negate da altrettante vicende difensive di tipo razionale.

In tal senso, procediamo, per chiarimento, verso le seguenti, necessarie riflessioni. In generale il concetto di leadership è seriamente privo di senso se non è messo in rapporto con quella che gli inglesi chiamano la followership, cioè il suo “seguito”. In tal senso, nessun leader potrà pienamente soddisfare la propria missione, se non avrà prima trovato il modo con cui gestire i rapporti con il proprio “gruppo”.

Una fondamentale condizione che va a costituire la parte cementizia di tale gestione è rappresentata dal rovesciamento della convinzione tacitamente condivisa sia ai vertici che alla base, che cioè soltanto i leader o i capi abbiano delle autorità e che le posizioni subordinate non contino nulla, sebbene l’esperienza conduca a continue dimostrazioni del contrario, come, per l’appunto, che senza un “seguito” i leader non vanno molto lontano.

Per la necessaria valorizzazione della followership esiste un meccanismo istituzionale che è quello della “delega” e l’esercizio della delega rappresenta uno dei fattori più importanti sia dell’efficienza che della “democraticità” di una istituzione. All’interno del Pd si percepisce un tono emozionale costantemente oscillante tra la frustrazione ed una passione alla politica “senza direzioni” ed in molti sono quelli che si sentono esclusi dai processi decisionali.

Ma, in generale, le deleghe, nelle organizzazioni, verrebbero spesso pure conferite a patto che esse di solito non comportassero offesa al narcisismo spietato per il potere assoluto, ahimè, di molti leader (anche locali vedasi San Benedetto del Tr.). Tale conferimento potrebbe spesso rappresentare un utile, anzi, necessario deterrente all’insistere in lotte fratricide e parricide (esautorare l’altro ed il leader), aventi un solo, ossessivo e perverso, fine: il raggiungimento, il recupero di potere, che porta spesso i cari politici “lontani dalle persone” e dunque dai veri motivi per cui sono stati eletti e dunque dal darsi chiari progetti politici in ordine ai contenuti ideali del proprio partito di appartenenza.

Questa riflessione ha già da tempo ben assodato il fatto che la leadership, la guida del gruppo affonda le proprie origini nello scenario familiare, ben esplorando le qualità delle funzioni parentali alla luce dell’autorità esercitata per il compito educativo, del rapporto tra affetti arcaici, potestà genitoriale e funzioni normative.

Perché avvenga il difficile recupero di una organizzazione in crisi rispetto ad un suo progressivo disfacimento risulterà sempre, di base, oltremodo necessario che essa possa fare riferimento ad un modello di leadership di tipo assolutamente funzionale, situazionale (Hersey e Blanchard, 1982) ed interdipendente, dunque il contrario di quella posizionale, megalomanica ed autocratica, purtroppo ancora prevalente nella cultura sociale e politica del Paese Italia.

L’analisi della natura molto complessa della leadership permette di osservarla non soltanto come una funzione razionale, cosciente e orientata alla realizzazione del compito del “gruppo” o della “organizzazione”, bensì anche  (in analogia ad un Io individuale che va, nella storia dello sviluppo mentale, emergendo da una matrice indifferenziata di tipo istintuale) come una condizione che prende forma incorporando accanto agli attributi razionali e coscienti, una molteplice varietà di fattori irrazionali, emotivi e nascosti sotto la soglia della coscienza collettiva e dietro la facciata della struttura organizzativa.

Non resta, dunque, che rivolgere ancora molti auguri ad Enrico Letta e soprattutto nel senso che egli riesca a svolgere un ruolo di pater-leader forte, deciso, autorevole, sapientemente capace della valorizzazione dei suoi figli-followers, dunque stupendamente seduttivo, onde ben svolgere il suo più appropriato ruolo rieducativo di questa parvenza di partito politico.

Come anziano di 82 anni e come uno dei fondatori del Pd, mi permetto di suggerire alcune cose: battaglia sul clima, progressività fiscale e patrimoniale, lavoro, cultura-cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. E mi permetto di informarlo che nel mio circolo di San Benedetto del Tronto denominato Ianni, ci sono oggi circa 75 iscritti (ce n’erano circa 250, poi circa 150), uno dei luoghi segnati da lacerazioni. Per ricostruire qui, è fondamentale sentire che il partito ascolta: e le parole di Enrico Letta vanno nel senso giusto.

Ottimo il passaggio: “Non funziona questa storia delle correnti, non mi ci oriento manco io”, posso dire che è stata una boccata di ossigeno. Ora, mi aspetto tre svolte. Un dialogo paritario, finalmente, coi giovani. L’accoglienza delle istanze dei territori e i diritti dei lavoratori. Fino a poco prima, con Zingaretti che va via e dice “Mi vergogno”, galleggiavamo nel più diffuso sconforto. Quello che ha fatto il nuovo segretario Letta è stato soffiare su dei tizzoni ancora ardenti: i quali hanno voglia di impegnarsi, lottare e anche contare.

Già il suo primo atto politico di andare nel circolo di Testaccio è stato un bel segnale. Ho apprezzato molto il passaggio sui “tre debiti: ambientale, pubblico e demografico”. E i progetti sui circoli e le agorà dem. Girava una frasetta sul web: senza la base, scordatevi le altezze. L’ha declinata come filosofia di partito e di politica? Ok, siamo pronti.

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