
di Tonino Armata
SAN BENEDETTO – Egregio direttore, questa volta parte dal basso, dai territori, la chiusura delle scuole, il ritorno alla didattica a distanza. Ciò che per mesi è sembrato intoccabile, la presenza in classe di alunni e insegnanti, con il montare della seconda ondata ha cominciato a traballare. Poi è caduto. La Campania chiude le scuole fino al 30 ottobre. La Lombardia pensa di seguirla.
Non sarà stato Tremonti a dirlo (come ha più volte smentito), ma quando quattro governatori del Nord, tutti di centrodestra, si siedono al tavolo con il governo e chiedono la chiusura delle scuole superiori e il ritorno alla Dad (che oggi si chiama Did con qualche ragione, didattica integrativa a distanza) la convinzione che per vie spicce a quelle latitudini politiche prevalga l’dea che con la cultura non si mangia è riaffiorata per forza. Chiudiamo e non ci pensiamo più, perché i problemi correlati all’apertura delle scuole non li sappiamo risolvere, abbiamo altre priorità e amen.
Quindi, di cosa stiamo parlando? E perché, e questo è veramente irritante, se si devono fare operazioni tranchant, si propone subito di tagliare le gambe alla scuola, dopo aver detto tutti, con una retorica che dire appiccicosa è poco, che la ripartenza del Paese sarebbe stata solo con la riapertura della scuola in presenza?
Se la più grande saggezza è non avere paura, cominciamo dalla scuola, come ha detto un mese fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Vo’ Euganeo: “La scuola serve a formare cittadini consapevoli, a sconfiggere l’ignoranza con la conoscenza, a frenare le paure con la cultura”.
Ora non importa se e chi abbia rimesso sul tavolo delle decisioni l’ipotesi di tornare alle lezioni a distanza nelle superiori ed è normale e prudente che se ne discuta, ma c’è un confine che governo e Regioni devono saper vedere e difendere con le stesse energie dedicate a salute e lavoro ed è quello dell’istruzione.
I numeri dei bassi contagi in classe rappresentano una magra consolazione se messi accanto a un’altra cifra, gli oltre ottantamila insegnanti che ancora mancano, e alle immagini degli autobus carichi di ragazzi pigiati uno sull’altro in quasi tutte le città italiane.
Chiudere le scuole a marzo è stato doloroso, l’ammissione di una resa che ha lasciato un segno nell’apprendimento e nella serenità di migliaia di studenti – e madri e padri – perché in classe contano sì i professori ma anche il compagno di banco, il confronto quotidiano con il prossimo, la condivisione di successi e sconfitte, persino le divergenze e le liti.
È a scuola che mette le radici la società, è a scuola che spesso si trova una seconda famiglia, è a scuola che si impara la libertà con i limiti che ognuno di noi deve accettare per renderla di tutti. Chiuderla un’altra volta, anche se in parte, rischia di essere un errore non più rimediabile.