Lettere al direttore / La mia vacanza alla ricerca della leggerezza

di Tonino Armata (presidente onorario ass. Città dei Bambini)

SAN BENEDETTO – Egregio direttore, mentre ti scrivo sono a casa, le valigie nel ripostiglio per aria attaccato al soffitto. Non le ho ancora portate giù. Non credo che andrò in vacanza, semmai passerò solo qualche giorno nella spiaggia di San Benedetto, il posto in cui peraltro vivo tutto l’anno.

Insomma, mi sono preso una vacanza dall’idea di vacanza, perché lo spirito non è quello giusto. Periodo di calura e difficoltà, inframezzato da strani pensieri e attese di non so che cosa. L’estate del coronavirus, quella del 2020, che nessuno di noi dimenticherà. Vuoi per un motivo, vuoi per un altro. Siamo (quasi) tutti immobilizzati in mezzo a un guado significativo, complicato e asfittico, anche se cerchiamo con ogni possibile sforzo di mantenerci propositivi.

Il turismo è uno dei settori economici più forti dell’Italia, si sa, soprattutto quella della Riviera delle Palme.
Il World Travel and Tourism Council stima che oltre 197 milioni di posti di lavoro potrebbero andare persi nel settore del turismo se le restrizioni di viaggio globali e le misure di quarantena dovessero essere mantenute fino a dopo l’estate. In terre come Romagna, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, d’altronde, si ha ben poco oltre l’afflusso di “Buoni Samaritani” che spendono euro (molti euro) in loco.

È l’unica industria che funziona(va) a meraviglia. Ho fatto mentalmente una veloce statistica su una decina di amici di cui conosco le abitudini. Qualcuno di loro, non avendo grandi mezzi, andrà in vacanza solo qualche giorno: paura di spendere (principale motivo della scelta) e a casa si sta meglio (scusa indotta dal primo ragionamento). 

E allora mi sono venute in mente quelle belle giornate estive degli anni ’80. Ve li ricordate quegli anni? Le vacanze di bambini / ragazzi / studenti universitari erano sconfinate. Iniziavano a fine maggio, massimo i primi di giugno; il profumo di libertà si sentiva nell’aria dall’ultima suonata di campanella in classe. Si annusava, si gustava, come se odorasse di “essenza anticipata di vacanza”.

Si era appagati e contenti con poco: il materassino o il canotto che si ancorava alle boe per rimanere tre/quattro ore stesi al sole. Il panino unto e arrotolato nello scottex casalingo, farcito con tonno e pomodoro (a volte anche con pomodori e formaggio, o cotolette, che restavano tiepide tutto il giorno per un miracolo laico voluto dalla volontà del sapore), e pezzi di frutta mantenuti freschi col ghiaccio (anguria, melone, pesche, uva), messi in contenitori di plastica trasparenti o borse termiche.

Le vacanze estive che “salvavano” il bilancio italiano, perché duravano da metà giugno a fine settembre. A scuola poi si rientrava a ottobre. Quello era il bel Paese! Funzionava perché rispettava la vocazione della terra e dei suoi abitanti. Un primo colpo all’economia turistica venne poi inferto con l’anticipo a metà settembre dell’apertura delle scuole.

Ora lo dicono i numeri. Il turismo ha cambiato faccia. Il mordi e fuggi è diventato abitudine. Ma i turisti stranieri ci hanno permesso comunque di sentirci al sicuro. Venivano da noi e spendevano quel tanto che bastava per mantenere in piedi aziende del settore.

E non in quest’estate ombrosa e indolente minacciata dal coronavirus. Una crisi testimoniata anche dai numeri di Federalberghi, secondo cui a giugno, nel mercato turistico alberghiero italiano, si è registrato un calo delle presenze dell’80,6% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Da soli possiamo bastarci? Non credo, ma ho bisogno di crederci. Alcune città italiane sono state colpite più di altre da questo virus. O sarebbe il caso di dire che ne sono uscite peggio. A dirlo è uno studio condotto per l’Associazione nazionale dei Comuni italiani.

È emerso che Torino, Venezia, Genova e Cagliari sono le città che risentiranno di più delle conseguenze del Covid-19, a causa della sofferenza di settori come il trasporto marittimo, l’automotive, il turismo e la raffinazione petrolifera. Meno esposte risultano Catania, Bari e Bologna. In genere le città metropolitane potrebbero subire grosse perdite nei prossimi due anni.

Si va da una perdita definita soft dei ricavi, vicina all’11,8%, fino ad una hard del 16,4%. In termini percentuali la città più colpita sembra Torino, con un calo dei ricavi fortissimo. Non se la passano bene nemmeno Venezia, Genova e Cagliari. Milano, la peggiore, in termini assoluti. Altre città che avranno ripercussioni gravi sono Messina, Napoli, Firenze e Palermo. In mezzo si trovano Roma, Bologna, Reggio Calabria fino a Bari. 

Mi rincuora sapere però che in questo periodo la coabitazione ha rappresentato un’occasione per consolidare i rapporti familiari: la maggior parte di quelle intervistate rivela un miglioramento dell’interazione tra genitori e figli e anche una maggiore collaborazione domestica. Resta però lo sguardo pessimista sul futuro: quasi la metà prevede un peggioramento della situazione economica e lavorativa, e teme incidenze inevitabili su svago e tempo libero, come anche su cultura e istruzione, vita sociale e amicizia. 

Insomma, pensando ai prossimi tre anni la preoccupazione delle famiglie non è legata solo all’emergenza sanitaria. È la paura di un disastro economico a comparire come un’ombra che via via si fa sempre più grossa. Il rischio del fallimento di aziende e piccole imprese è considerato uno dei problemi principali, e anche l’aumento della povertà, compreso il sinistro divario tra ricchi e poveri, e il debito pubblico, e il rischio di tensioni, e rivolte… 

Ma l’estate è arrivata. Lo sento dalle folate di caldo che spirano dalle finestre aperte. Socchiudo gli occhi. Nella stanza solo il rumore di un ventilatore oramai vecchio, che tiro fuori ogni anno per evitare di mettere in funzione l’aria condizionata deleteria per la gola. Non vorrei beccarmi una tracheite e dover essere costretto a sottopormi a un tampone. Già. Ecco cosa è cambiato. La percezione del pericolo fuori. Il virus che si muove silenzioso e nemico tra le nostre cose, e astuto potrebbe sorprenderci trasformando il presente in una brutta stagione. 

Eppure, come ho scritto sopra, abbiamo necessità di un piccolo spiraglio. Che duri un giorno, o una settimana, non importa. Quei tanti italiani in attesa come me, magari domani andranno al mare insieme ai loro figli e nipoti, e spalmeranno la crema protettiva sulle spalle dei cari consorti, poi apriranno il giornale per leggere le notizie, soffermandosi forse meno sulle pagine di politica, e domani l’altro ricominceranno a preoccuparsi. 

Sono i lavoratori, quelli abituati a rimboccarsi le maniche, e a risalire la china con l’orgoglio del lavoro. E non si tratta di superfluità acquisita, ma del desiderio di difendere il diritto a un po’ di serenità in questa ambigua stagione di passaggio. 

Le piccole pale del mio ventilatore continuano a girare. Mi sa che prenderò la scaletta per prendere una valigia dal ripostiglio per aria attaccato al soffitto e metterci dentro quattro magliette e due pantaloni. Partirò per qualche giorno, l’ho deciso ora. Darò una mano a questa Italia anch’io, andando da qualche parte per una scarpinata in montagna, aiutando così i nostri albergatori. E nell’attesa di un autunno difficile proverò anche a pensare a come uscirne fuori. Continuando a leggere libri, giornali cartacei e online come TM notizie. Pensando inoltre che in fondo hanno ragione a chiamarla estate. C’è ancora. Ed è qui. Fa tanto caldo. 

Buona estate signore e signori.

Commenti

commenti

Articoli Correlati

Loading...