Il Giardino dei ciliegi, il dramma di una famiglia infelice nella Russia di Cechov

di Martina Oddi

GROTTAMMARE  – Il Giardino dei ciliegi portato in scena ieri sera al Teatro delle Energie di Grottammare dall’associazione teatrale Profili Artistici per la rassegna Energie Vive, spettacolo patrocinato dal Comune in collaborazione con Amat, MiBAC e Regione Marche, racconta la storia di una famiglia di nobile lignaggio decaduta nella Russia di Cechov.

Tra modernità e decadenza, il giardino, simbolo dell’antica opulenza, vive in simbiosi con i personaggi cui condivide il triste destino di disgrazie, ma incarna anche la speranza in un futuro diverso, in una nuova vita tutta da vivere. La forza emotiva del suo potere evocativo, nel suo essere eterno e nello stesso tempo destinato a una brutale fine, si staglia contro la leggerezza tragica della donna che da esso è fuggita per rimuovere le tragedie che hanno puntellato la sua vita.

Ljuba, madre provata dalla perdita del suo bimbo annegato nel fiume all’ombra di quel ciliegio, è fuggita a Parigi per compensare con la frivolezza quell’eterno dolore. Quando torna in primavera e ammira la sua casa natia che andrà all’asta in agosto, perché la famiglia è ricoperta dai debiti, esprime il suo legame ancestrale con il giardino e vive un lacerante dissidio hegeliano tra essere e dover essere.

E con la velleità effimera e leggera che nega la meschinità dei tempi contemporanei, esprime il legame con l’antica terra e con filosofie di grandezza appese a un filo, che incarnano il rifiuto del presente in nome del passato di sofferenza. La felicità negata ad ognuno dei personaggi, intrappolati nel legame con un passato che è destinato ad essere travolto dall’inarrestabile vita che scorre e impone le sue regole, diventa un miraggio irraggiungibile.

I protagonisti, incapaci di reagire al dolore e intrappolati in una dimensione di sentimentalismo quasi inconsapevole e inconsistente, ma nello stesso tempo inteso e profondamente drammatico, assisteranno attoniti all’asta della proprietà, che sarà acquistata da Lopachin, figlio dell’antico servo, tanto abile negli affari quanto incapace di pronunciare semplici parole d’amore, in una sorta di matrimonio negato con l’austera primogenita di Ljuba.

La libertà della giovinezza, il suo incanto che dipinge tutto com’è possibile, è incarnata dalla discrasia dell’eterno studente, vicino alle speranze della più giovane figlia del casato, di cui condivide gli ideali poetici lontani dalla volgarità e tragicamente inetti, tanto luminosi da stagliarsi drammaticamente contro la realtà del presente, ma capaci di interpretare la fiducia in un riscatto che la sorte maligna non può negare.

Il servo, Firs, immancabile maggiordomo coerente fino alle estreme conseguenze con il suo ruolo, che rinnega la sua vita in nome di un ideale più alto di fedeltà ai padroni, muore rimembrando le glorie di un tempo di una famiglia incapace di trovare una soluzione economica e soffocata dalle tragedie accadute, in cui ognuno è condannato a seguire il suo destino in un fluire eterno della vita, di cui il giardino è simbolo intrinseco.

Vita che sa essere magnifica e crudele: l’atteso compimento arriva a spezzare l’eternità e a frammentarla in piccole dimensioni della sofferenza. Il giardino, acquistato dal figlio degli antichi schiavi, simbolo della gioia che fu, sarà distrutto per costruire delle villette per villeggianti, segno del nuovo che avanza inesorabilmente.

Gli attori, bravissimi e sapientemente diretti da Eugenio Olivieri, enfant prodige del teatro nostrano, hanno saputo interpretare in maniera toccante e coinvolgente il dramma di Cechov, dando lustro a una rassegna ricca e ispirata al talento che solo i giovani sanno esprimere con una voce intensa e vivida.

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