Lettere al Direttore / La pandemia non ha cambiato solo la vita, ma anche la morte

di Tonino Armata

SAN BENEDETTO – Gentile direttore, la pandemia da coronavirus non ha cambiato soltanto la vita, ma anche la morte. Di questo ci si accorge in modo sottile e traumatico, come l’ingresso nella carne di uno spillone, quando capita di conoscere una delle vittime. Nel mondo precedente la morte si annunciava in due maniere: improvvisa, per un evento fuori da ogni percorso (un incidente o uno choc patito dal fisico), oppure lenta, seguendo il decorso di una malattia diagnosticata e combattuta fino alla terminale sconfitta.

Non esisteva praticamente confine tra l’impreparazione assoluta e la graduale predisposizione alla fatalità. I momenti che determinavano l’effetto erano rievocabili, per testimonianza diretta o indiretta. Un incidente lascia tracce, una malattia è tenuta sotto osservazione. Nell’uno e nell’altro caso, subito o poi, sapevamo come era avvenuta la morte. Ad essa attribuivamo comunque una eccezionalità. I vivi erano la regola. Chi se ne andava si staccava dal gruppo, che continuava la sua corsa, superato il primo scossone.

La morte prima del coronavirus aveva una narrazione. Si chiedeva: «Come è potuto succedere?», e si otteneva una risposta. «Perché proprio a lui/lei?», e qui la risposta non c’era, ma la domanda riecheggiava dalla notte dei tempi. A renderla possibile era la particolarità di un destino, che si fosse infranto su una strada di notte o tra le pareti di una stanza di un ospedale. C’era una storia, alle spalle. Ed era possibile ricostruirla.

Ora è diverso. È stato, è ancora, un anno feroce: se ne sono andati personaggi pubblici, amici, conoscenti. Nella ricorrenza del 2 novembre tutti contiamo dal 2020 sofferenze e lutti per qualcuno che amavamo o ammiravamo o con cui avevamo semplicemente percorso un pezzo di strada.

E abbiamo sperimentato la differenza nel percepire l’accaduto. La morte da coronavirus non fa parte del discorso dell’esistenza, non si inserisce nella frase, è una parentesi che si apre, dentro non c’è nulla, poi la parentesi si chiude, punto e nient’altro. Finisce così. Non c’è il colpo secco, né la guerra con il male. È un duello all’alba, in una foresta avvolta dalla nebbia, di cui ci viene riportato l’esito.

Da mesi i nostri rapporti interpersonali sono slacciati. Abbiamo ridotto i contatti in ogni forma. Non poter incontrare le persone significa, tolte quelle nella cerchia ristretta, sentirle meno spesso. Può capitare di svegliarsi prima dell’alba, leggere i giornali on line e cogliere il trafiletto che annuncia il decesso di qualcuno con cui si era parlato un mese fa. È stato contagiato due settimane prima, ricoverato dopo tre giorni, non ce l’ha fatta. Si rilegge il nome con stupore, si allarga l’immagine: è proprio lui. La notte sprofonda.

Allo stesso modo smettono di arrivare le mail, i messaggi da qualcuno che “ci seguiva” in maniera perfino ossessiva. Si fa una ricerca su internet: “nome, città, covid” entrano nel motore di ricerca. Si trova nell’elenco delle vittime. Alla prima ondata i media pubblicavano la Spoon River dei caduti. Con la seconda non l’hanno fatto più. È calato un velo, un numero. Rappresenta una massa indistinta. Sta a noi cercare, come rivoltassimo i cadaveri su un campo di battaglia, ma in modo asettico, elettronico. Una distanza che diventa ogni giorno più breve, ipotetica.

Se troviamo qualcuno che conosciamo non ci poniamo più le domande che credevamo eterne. Sappiamo come è successo. Da mesi ci viene spiegato. Il discorso si infrange sulla parentesi, che è la porta della terapia intensiva, ma da lì possiamo immaginare da soli, o non farlo: nulla cambia, è comunque la stessa cosa.

Non ci chiediamo perché proprio a lui/lei: non è solo, non è segnato da un anomalo destino, fa parte della folla quotidiana di chi scompare. Non c’è niente di più terribile di qualcosa di spiegabile che avviene in modo misterioso. Non c’è mai stato nell’arco delle nostre esistenze un modo di morire così distanziato eppure così vicino. Quale che sarà la nostra sorte, individuale e collettiva, non potremo mai mettere questa esperienza tra parentesi e andare a capo.

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